venerdì 31 luglio 2009

I POETI SEPOLCRALI INGLESI

Nel 1992 avevo poco più di 17 anni e frequentavo il Liceo Classico Statale della città di Sarno.
Studiavo tanta letteratura sia italiana che inglese.
Un bel giorno venne a farci un corso di approfondimento un professore emerito di Oxford.
E nell'aula gremita ci recitò una poesia di Sir Thomas Grey.
Titolo: "Elegy Written in a Country Churchyard" ( L'Elegia scritta in un cimitero di campagna).
Fu un giorno memorabile.
Scoprii attraverso la voce fredda ma emozionante del prof inglese, che la morte non è solo sofferenza, oscurità, timore dell'ignoto ( come tante "guide di vita vissuta" vogliono farci credere intrappolandoci in una ragnatela di paure e angosce sempre vane) ma è anche arte, mistero, consolazione, epica, coraggio e virtù.
Da allora ogni volta che mi affanno e scalcio e mi arrabbio e grido vendetta e provo un senso insopprimibile di vuoto, apro il mio vecchio libro di scuola e lentamente assaporo gli spledidi versi di Grey.

Ecco la traduzione italiana:

I. La campana della sua annunzia tristemente il rintocco del giorno che muore. Il gregge muggente si snoda lentamente sui prati, l’oratore volge verso casa il suo stanco cammino e lascia il mondo all’oscurità e a me.


II. Ora il paesaggio,avvolto nell’incerta luce, si dilegua alla vista. E una solenne immobilità possiede tutta l’aria eccetto là dove lo scarabeo rotea con volo ronzante e sonnolenti tintinnii cullano gli ovili lontani.


III. Ma dalla torre coperta di edera il triste gufo si lamenta con la luna di coloro che, vagando vicino al suo segreto rifugio, disturbano il suo antico regno solitario.


IV. Sotto quegli scabri olmi, all’ombra di quel tasso, dove la zolla si solleva in molti tumuli che si sgretolano, ciascuno steso per sempre nella stretta cella , dormono i rudi progenitori del villaggio.


V. Il freddo richiamo del mattino profumato d’incenso, la rondine che cinguetta dal capanno di foglie, l’acuto suono del gallo o l’eco del corvo dei cacciatori, mai più li sveglierà dal loro umile letto.


VI. Per loro mai più brucerà l’ardente focolare, o la massaia indaffarata accudirà alle faccende serali.né i bambini correranno ad annunciare balbettando il ritorno del padre, o si arrampicheranno sulle sue ginocchia per spartirsi il desiderato bacio.


VII. Spesso il raccolto si sottometteva alle loro falci; e il solco infrangeva la dura terra; come giocondi passavano arando attraverso i campi! Come si piegavano gli alberi sotto il loro colpo gagliardo!


VIII. Non lasciare che l’Ambizione derida il loro utile sforzo, le loro gioie domestiche e il destino oscuro;né che la grandezze ascolti con un sorriso sdegnoso i semplici e brevi annali dei poveri.


IX. Il vanto di un nome illustre, lo sforzo del potere, e tutto ciò che è bello, tutto ciò che ha mai dato la ricchezza, aspetta ugualmente l’ora:i sentieri della gloria conducono alla tomba.


X. Né tu, o orgoglio, appunti a questi la colpa, se la Memoria non ha alzato trofei sulla loro tomba. Dove attraverso lunghe navate e volte intagliate l’inno sonoro gonfia le note dell’elogio.


XI. Può l’urna istoriata o il busto espressivo portare indietro il respiro passeggero?Può la voce dell’Onore richiamare in vita la polvere silenziosa o l’Adulazione lusingare il duro e freddo orecchio della Morte?


XII. Forse in questo posto dimenticato giace qualche eroe una volta pregno di fuoco celestiale;mani che avrebbero potuto reggere lo scettro dell’impero, o svegliare all’estasi la lima vibrante di vita.


XIII. Ma la Conoscenza mai aprì ai loro occhi la sua ampia pagina, ricca delle spoglie del tempo. La fredda indigenza represse il loro mobile ardore e raffreddò la geniale inclinazione dell’anima.


XIV. Ben più di una gemma del più puro raggio sereno, possiedono le oscure e inesplorate caverne dell’oceano;molti fiori nascono per sbocciare non visti, e disperdono il loro profumo nell’aria deserta.


XV. Qualche Hampden di villaggio, che con animo coraggioso si oppose al piccolo tiranno dei campi;qualche muto sconosciuto Milton qui può riposare, qualche Cromwell, innocente del sangue del suo paese.


XVI. Suscitare l’applauso del senato in ascolto, disprezzare le minacce del dolore e della rovina, spandere la ricchezza su una terra ridente, e leggere la loro storia negli occhi di una nazione.


XVII. La sorte negò loro;né limitò solo le loro crescenti virtù, ma confinò i loro crimini(la sorte)proibì di farsi strada attraverso il delitto e di chiudere i cancelli della pietà al genere umano.


XVIII. Di nasconderei penosi spasimi della verità di cui erano consapevoli, di smorzare i rossori del padrone spontaneo, di ammucchiare sull’altare del lusso e dell’orgoglio l’incenso acceso alla fiamma della poesia.


XIX. Lontano dall’ignobile lotta della pazza folla, non impararono mai a deviare i loro pii desideri, lungo la fredda e appartata valle della vita. Mantennero il corso silenzioso della loro esistenza.


XX. Persino per proteggere le ossa dall’insulto, qualche fragile stele eressero vicino, con create rime e una scultura senza forma ornata, implora al passante il tributo di un sospiro.


XXI. I loro nomi, i loro animi, scritti dalla Musa illetterata, suppliscono il posto della fama e dell’elogio;e sparge molti versetti biblici che insegnano al rustico moralista come morire.


XXII. Chi, preda del muto oblio, ha mai rinunciato a questa piacevole e angosciante esistenza ha lasciato i caldi confini del lieto giorno, né lanciò uno sguardo di desiderio dietro di sé.


XXIII. Sul seno appassionato l’anima morente si confina. Qualche pia lacrima chiede l’occhio che si spegne. Anche dalla tomba piange la voce della Natura perfino nelle nostre ceneri vivono i soliti XXIV. Quanto a te,che ti preoccupi di una morte non onorata, narra in questi versi la loro storia innocente. Se per caso guidato da solitaria contemplazione qualche spirito affine indagherà sul tuo destino.


XXV. Forse qualche canuto pastore può dire:”noi spesso lo abbiamo visto all’alba che smuoveva con rapidi passi la rugiada per incontrare il sole sugli alti prati.


XXVI. Là ai piedi di quel faggio ondeggiante che intreccia così in alto le sue vecchie fantastiche radici, soleva passare il pomeriggio disteso e malinconico, a meditare vicino al ruscello che gorgoglia.


XXVII. Proprio accanto a quel bosco,ora sorridendo quasi beffardo. Egli soleva errare balbettando le sue capricciose fantasie. Ora chinandosi mesto e pallido come un desolato,o oppresso dagli affanni o contrariato senza speranza.


XXVIII. Una mattina non lo vidi più sulla solita collina, lungo la landa o vicino al suo albero preferito. Un altro venne;tuttavia non vicino al ruscello, né sul prato né nel bosco egli era.


XXIX. Il mattino dopo con canti funebri in triste rito,lo vedremo portare lentamente lungo il sentiero della chiesa. Avvicinati e leggi(perché tu sai leggere)l’epitaffio, scolpito nella pietra ai piedi del vecchio rogo.


XXX. Qui posa la sua testa sul grembo della terra un giovane alla fortuna e alla fama ignota. La bella scienza non arrise mai alla sua umile nascita, e la malinconia lo segnò per sempre come suo


XXXI. Grande fu la sua generosità e la sua anima sincera. Il cielo inviò una ricompensa con pari miseria:egli diede alla miseria tutto ciò che aveva, una lacrima. E ottenne dal cielo(tutto ciò che egli desiderava) un amico.


XXXII. Non cercare di scoprire oltre i suoi meriti o trarre le sue fragilità dalla loro spaventosa dimora (là essi riposano come in tremante speranza sul seno del suo padre e del suo Dio)”.

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