lunedì 30 agosto 2010

“GLI UCCELLI E' ANCORA OGGI UN DIZIONARIO DA SFOGLIARE PER CHI SI VUOLE CIMENTARE CON L'HORROR": DANILO ARONA TORNA IN LIBRERIA!


ANTICIPAZIONE ASSOLUTA QUI A "IL MONDO DI EDU".

Sinossi
Sono pochissimi i film nella storia del cinema a essere divenuti nel tempo, soprattutto dopo la dipartita dei loro autori, degli autentici fari illuminanti a posteriori tutti gli sviluppi formali e sostanziali del genere di pertinenza. Se parliamo di Alfred Hitchcock, il maestro riconosciuto del cinema di tensione, il pensiero va a due capolavori degli anni Sessanta, Psycho e The Birds. Due titoli senza i quali il cinema di registi come De Palma e Argento non sarebbe stato lo stesso. Soprattutto senza Gli uccelli i film di Romero, Carpenter e Shyamalan sarebbero stati “diversi”, addirittura altri film.
Tratto da uno straordinario racconto di Daphne du Maurier, al quale Hitchcock non riconobbe l'adeguata gloria letteraria, Gli uccelli è ancora oggi uno straordinario cult movie attorno al quale le analisi nel corso degli anni si sono sovrapposte come all'interno di un caleidoscopio, passando dall'escatologia, alla psicoanalisi, alla sociologia e alla mitologia.
Fantascienza? Horror? Thriller metafisico? Qualsiasi definizione non esaurisce il campo d'azione del film. Perché questa è l'opera folle di un genio ossessionato dalla verosimiglianza del terrore e dalla più totale specularità tra vita reale e Arte.
A questo “film della vita” Danilo Arona dedica un saggio lungo, appassionato e minuzioso. Divertito e divertente. Ripercorrendone la genesi, la difficilissima realizzazione e le tante interpretazioni critiche che si sono susseguite dal 1963 a oggi.
Il libro Gli uccelli di Alfred Hitchcock, edito da “Un mondo a parte” di Roma, inaugura la collana Quaderni di sangue curata da Paolo Zelati, dedicata ai grandi cult movie della storia del cinema horror. Oltre 250 pagine di autentica passione.

Classe 1950, giornalista, scrittore, musicista, autore di un incalcolabile numero di articoli pubblicati su varie testate e di numerosi romanzi fantastici e horror, Danilo Arona è anche un cultore appassionato di cinema. Giurato al Festival di Sitges, organizzatore di storiche manifestazioni dedicate alla fantascienza e al noir, ha firmato titoli come Guida al fantacinema, Nuova guida al fantacinema, Vien di notte l'uomo nero – Il cinema di Stephen King, Wes Craven – Il buio oltre la siepe e, con Daniela Catelli, L'esorcista, il cinema, il mito.
Altre informazioni su:
Spinti da un'inarrestabile curiosità abbiamo subito contattato l'autore di Bassavilla, che come suo solito, non si è tirato indietro di fronte alle nostre modeste domande. E come sempre non possiamo che ringraziarlo per la sua grandissima disponiblità e gentilezza...
Salve Danilo. Domanda diretta: perché un saggio specifico su "Gli Uccelli" di Hitchcock?

Perché Paolo Zelati, un uomo straordinario che ho sulla coscienza in quanto l'ho inconsapevolmente spinto a intraprendere la carriera di critico cinematografico (ma con grande successo come puoi constatare dalla foto in cui è ritratto assieme al leggendario Richard Matheson, proprio a casa sua...), cura per la casa editrice “Un Mondo a Parte”, la collana “Quaderni di sangue”, dedicata ai grandi cult movie del cinema horror. Paolo mi ha chiesto di scegliere un film per tirarne fuori 250 cartelle. Alcuni film “della vita” erano già occupati, di altri – vedi “L'esorcista” - ho scritto sino alla nausea. Non ho avuto dubbi anche se mi sono subito reso conto che la mia scelta era piuttosto audace... Perché “Gli uccelli” è un film che ha una certa età e per molti giovani, non tutti per fortuna, sembra non avere l'appeal di altri cult più recenti. Ma la sfida è appunto questa: dimostrare che “Gli uccelli” è ancora oggi un dizionario da sfogliare per chi si vuole cimentare con l'horror, soprattutto quell'horror moderno e impressionista che io chiamo “in pieno sole”. Pensa a un regista come M. Night Shyamalan e a film come “Signs” o “The Happening (E venne il giorno)”, impensabili senza il precedente de “Gli uccelli”. Ma pensa poi a grandi maestri come Romero, Carpenter, De Palma. Argento, Serrador... tutti hanno guardato con occhio appassionato al grande film del '63. Qual è l'obiettivo principale del tuo lavoro di critica cinematografica? Quali le tue aspettative?

Mah... torno a dirlo. Io mi ritengo un appassionato, un attempato fan che scrive per i suoi consimili. Com'è scritto sulla quarta di copertina, sono un cultore del genere. Scrivo per quelli come me. Ma in questo caso vorrei avvicinare tanta gente che non l'ha mai fatto a guardare con occhi diversi un film straordinario, la cui storia produttiva varrebbe, lei da sola, l'ipotesi di un altro film. Il rapporto carnefice-vittima tra Hitch e Tippi Hedren, sul set e fuori dal set, è ancora un buco nero. In parte nel libro cerco di illuminarlo...

Secondo il tuo parere il film di Hitchcock è ancora un film sottovalutato? Una pellicola sottostimata e non ampiamente decodificata?

Sottovalutato, non direi. Ma ancora oggi leggo cose strane. Qualcuna l'ho pure riportata nel libro. Di sicuro il film è di un'attualità sconcertante. Allora di sicuro troppo avanti. E' il destino dei grandi visionari che spesso vedono il futuro. C'è ancora qualcuno che fa i conti sul timing del preambolo, sostenendo – citando Fellini – che è troppo lungo. Però i grandi autori questo preambolo l'hanno poi tutti copiato... E allora? Persino Stephen King, nei suoi libri, è “hitchcockiano” nei tempi di attesa. Bisogna ritrovare il gusto del climax e dell'anticlimax. Altrimenti dove sta il meccanismo del thriller?

Un film attuale, paragonabile per suspense e genialità narrativa, ai lavori del noto regista inglese?

Un grande John Carpenter, “Il seme della follia”. Il primo che mi viene in mente di pancia. Ma su Carpenter non sono mai parziale...

mercoledì 25 agosto 2010

VALHALLA RISING - NICOLAS WINDING REFN (2009)

Titolo originale : Valhalla Rising
Regia: Nicolas Winding Refn
Attori: Mads Mikkelsen, Gary Lewis, Jamie Sives, Alexander Morton, Ewan Stewart, Callum Mitchell, Douglas Russell, Gary McCormack, Andrew Flanagan, Gordon Brown.
Genere: Sword & Sorcery “howerdiana”.
Anno: 2009

Sinossi
Per anni One-Eye, guerriero muto dotato di una forza soprannaturale, è stato prigioniero del nemico Barde. Aiutato dal giovanissimo Are, l'uomo uccide il suo carceriere e insieme al ragazzino inizia un lungo viaggio nel cuore delle tenebre. In fuga dai minacciosi cacciatori di teste, One-Eye e Are si imbarcano su una nave vichinga che però viene risucchiata da una misteriosa nebbia senza fine. I fuggiaschi riescono fortunosamente a raggiungere la terraferma dove i Vichinghi troveranno la morte che li attende…

Considerazioni
Lo spirito di R.E. Howard rivive magicamente in “Valhalla Rising”.
Racconti come “Il Crepuscolo dei Dio Grigio” o “I Vermi delle Terra” trovano la loro compiuta interpretazione audiovisiva attraverso il lavoro Nicolas Winding Refn, cineasta a me sconosciuto finora.
Sono esagerato? Non credo...
L'ho atteso troppo un film del genere per sbagliarmi.
Solo un regista nordico ( e precisamente danese) poteva raccontare in maniera convincente i temi cari alla cultura vichinga e alla loro spiritualità pagana.
One-Eye il protagonista del film, guerriero muto e invincibile, in un colpo solo richiama alla mente Odino, il Dio monocolo della mitologia norrena e allo stesso tempo il guerriero decadente e dal destino tragicamente segnato ( ricordiamolo per chi non lo sapesse, gli Dei del Nord, a differenza di quelli mediterranei, sono mortali! Soffrono e periscono come tutti noi...) del noto racconto di Howard.
Già questo basterebbe a farne un capolavoro ma non basta.
Gli elementi in gioco sono tanti e sono molto eterogenei.
Refn costruisce una pellicola “d’atmosfera” dove i dialoghi sono ridotti praticamente al minimo.
Il pathos emozionale è davvero alto ( la tensione poi si taglia a fette...) e ovviamente viene filtrato attraverso il personaggio di One-Eye, presentato dapprima come un mostro sanguinario e dannato (praticamente un Berserker) e poi dopo la sua liberazione, come una sorta di sciamano/guida spirituale, il cui compito è quello di guidare un gruppo di vichinghi di fede cristiana verso Gerusalemme.
In realtà il gruppo presto si scontrerà con le forze della natura, che secondo i parametri della spiritualità nordica è un’entità oscura e trascendente.
E il tema del viaggio si tramuterà in una sorta di reinterpretazione di una ipotetica “Divina Commedia Vichinga” dove i gironi infernali non sono fatti di fuoco e dolore ma di natura e sangue. Perché questa è l’arma vincente del film: partire dallo schema attraente e consolidato della “Sword & Sorcery” per indagare poi il destino dell’uomo medievale, lacerato da una fede cieca nel prossimo Dio ( quello cristiano) e sofferente per la perdita delle vecchie convenzioni.
Tremenda la descrizione del culto di Gesù da parte di un vichingo: “Loro mangiano il corpo del loro Dio e bevono il suo sangue. Bastardi”.
Eppure in un pensiero così cruento la verità è come sempre accecante.
“Valhalla Rising” è metafora (attualissima) del distacco, antico e maledetto, dell’uomo dalla sua prima madre: la natura. Una ferita mai rimarginata. Una spiritualità affogata nel sangue di altre fedi.
Non a caso, la spedizione, approdando su un terra sconosciuta, perde da subito la fede nuova, ma acquisisce una consapevolezza ancestrale: l’uomo appartiene alla natura e non il contrario.
E la natura di “Valhalla Rising” è sangue, trascendenza, oscure visioni e decadenza crepuscolare.
Del resto un periodo della storia dell’uomo sta volgendo al termine.
E allora One-Eye è l’enigmatico traghettatore verso l’inferno.
Guerriero/divinità morente che prima di donarsi a pagani ancor più barbari e violenti ( i Pitti de “I Vermi della Terra" of course…), snocciola gli ultimi vaticini attraverso la bocca di Are, il ragazzo/medium della spedizione
Morte per i non degni, salvezza per gli onesti. Un’utopia di redenzione e conforto.
“Valhalla Rising” è il film del 2010 per IL MONDO DI EDU.
Pochi altri film nei mesi a venire avranno una densa e avvincente sceneggiatura e una forza spirituale delle immagini come quella creata da Refn.
Amanti del metal epico, del viking metal, del black metal e soprattutto appassionati dei racconti di R.E. Howard con una punta di ineluttabile trascendenza nordica…il capolavoro è servito!

lunedì 23 agosto 2010

RITORNO A CASA! - DIARIO DALL'AFGHANISTAN (ULTIMA PARTE)

Sono passati due mesi da quando ho lasciato l’Afganistan, ma alcune volte sento di non essere ancora andato via.
Il risveglio del primo giorno a casa è stato stranissimo. Non riuscivo a capire dove fossi.
Ci ho messo qualche minuto a comprendere che quella era la mia stanza. Per fortuna non ci sono stati più episodi del genere.
Le prime settimane sono passate abbastanza velocemente, ma sempre accompagnate da un senso di irrealtà. Tutto è così diverso ora in Italia, lontano dall'Afghanistan.

Il fatto stesso di avere dei giorni di riposo che prima non avevo mi sembra alquanto singolare.
Nella mente vivo ancora gli ultimi giorni della missione.
Un saluto al feretro di un giovane soldato americano morto a causa di un IED (Improvised Explosive Device) e l'omaggio a due alpini della Brigata Taurinense, anche essi uccisi da un IED lungo la strada per Moqur.
Questi episodi sono indelebili nella mia mente, vissuti a pochi giorni dal volo per tornare a casa.
Avevo un nodo in gola quando i feretri dei nostri caduti ci sono passati davanti.
Mentre eravamo schierati per l’ultimo volo che li avrebbe riportati a casa.
Appena tornato in Patria, dopo pochi giorni, riesco a incontrare un caro amico-collega con cui sono stato laggiù.
Il suo nome è Francesco (nome di fantasia), un compagno di classe con cui ogni tanto mi vedo per una birra.
Francesco, con una bella risata, mi ha detto che capita anche a lui, ogni volta che torna a casa, di avvertire le stesse sensazioni.
Sono stato davvero contento di incontrarlo in Afghanistan, soprattutto perché è stato un fatto inaspettato.
Mi trovavo, dopo cena, davanti alla palazzina dove di solito lavoro. Nel buio mi sono sentito chiamare all’improvviso due volte. Mi giro e…”Ma guarda chi si vede!”
Una bella sensazione, un volto familiare e soprattutto amico.
Abbiamo cercato il più possibile di recuperare il tempo che non siamo riusciti a passare insieme a scuola. Per le dieci di mattina mi chiamava per un caffè e la sera, se potevamo, andavamo a cena insieme. E parlavamo di tutto, dall’attività sportiva, sulla quale mi facevo dare consigli per correre meglio, a quello che facevamo nel tempo libero in Italia.
E abbiamo finito la missione quasi nello stesso periodo. Forse è anche grazie a lui che quei mesi, soprattutto alla fine, sono passati velocemente.
Appena tornato in Italia, tutti mi hanno bombardato di domande, e io rispondevo sempre nello stesso modo: “ L’Afghanistan è un paese meraviglioso, gli afghani sono poveri ma ospitali e desiderosi di pace”.
Come popolazione mi hanno affascinato molto.
E soprattutto alla domanda “ma ritorneresti?”, rispondo secco e deciso: “Certo!”.
Ma non subito, prima voglio godermi la mia ragazza e i miei genitori, il più possibile.
È stata davvero un’esperienza che mi servirà sicuramente nell’avvenire.
Con questo post, vorrei salutare tutti i miei fratelli, i nostri soldati, avieri, marinai, finanzieri e carabinieri che sono lì e svolgono il proprio dovere per portare pace e mantenere viva la speranza sotto il segno della nostra Patria e della nostra bandiera.
Un ringraziamento particolare va all’amico Edu per lo spazio messomi a disposizione sul blog.
Dulcis in fundo grazie di cuore a tutti i lettori de IL MONDO DI EDU.

sabato 21 agosto 2010

AUTORI VARI - AMBIGUE UTOPIE ( RECENSIONE TRACK BY TRACK - BIETTI EDITORE, 2010)

Partiamo dal titolo di questa interessante antologia:”Ambigue Utopie”.
Secondo il dizionario della lingua italiana un’utopia è un’idea irrealizzabile, un progetto inattuabile.
Insomma qualcosa che si può teorizzare ma difficilmente mettere in pratica.
Se un’utopia diviene in qualche modo “ambigua” ( Equivoca? Enigmatica? Elusiva? Dubbia?), l’ intelligibilità dei fatti è ancora meno chiara.
Un po’ vago vero?
Eppure quando si parla di Fantascienza, i confini del pensiero umano ( sia esso inteso in senso puramente teorico ma anche [ e soprattutto] in senso creativo) si espandono verso dimensioni lontane e inesplorate.
In tal senso quasi tutti i racconti presenti nel libro sono "Ambigue Utopie".
Toccano mondi lontani e futuribili ( ecco l'utopia di base...), divagando tra nuove minacce e antiche maledizioni del vivere moderno.
Seppur gli scenari delineati sono in qualche modo “riconoscibili” l’utopia rimane, in quanto il futuro del genere umano è ipotizzabile, sognabile ma mai prevedibile con accurata certezza ( anche se la fantascienza si arroga a volte questo “strano”pregio…).
Qualche autore decide addirittura di noleggiare un macchina del tempo e visitare il nostro “ambiguo” passato storico/politico/sociale.
Essendo un’attività rivolta alla rielaborazione fantasiosa ( qualcuno la definisce Ucronia) e a volte egoistica ( cambiare il passato non è un atto di egoismo? Come diceva il buon Luciano De Crescenzo il “passato è passato” con una chiaro gesto della mano…come a dire inutile starci a perdere tempo), di alcuni eventi/chiave di una lontana epoca, per certi versi quasi mitica ( il mito non è un’utopia dell’uomo?), l’interpretazione soggettiva/autoriale vaga tra visioni di purezza primigenia e terribili deliri provocati da stati d’ansia politico/depressiva.
Se poi “carichiamo il carro”, affermando che un maestro dell’immagine come Kubrick era assolutamente certo che un film come “Barry Lyndon” fosse una fiction “fantascientifica”, perché volta a indagare e reinterpretare ciò di cui abbiamo solo vaghe reminescenze ( il passato of course..) tutto sembra finalmente chiaro.
Forse…
I due curatori, Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo non hanno voglia di rischiare ( fanno bene di questi tempi…) tra divagazioni letterarie altrui e una più o meno velata propensione alla denuncia nuda e cruda ( ma per questo c’è già Feltri che gioca tra fiction e realtà).
Ecco allora il concetto di Fantaresistenza, attraente cavillo politico/creativo sul quale tracciare la strada maestra e come dice il gladiatore: “serrare i ranghi!”
Una testuggine contro tutto quello che fa male al nostro paese?
Certo.
Un ariete contro il perbenismo intellettuale e il falso liberalismo?
Sure!
Qui c’è tutto questo e molto altro.
E possiamo evidenziarlo solo ed esclusivamente parlando di ogni singolo racconto:
“Zona rossa. Trame nere” di Claudio Asciuti è il miglior inizio possibile. Passato, presente e futuro. Sogno, realtà e finzione. Tutto in un sol colpo! Una fedele ricostruzione dei giorni terribili del G8 di Genova così come potrebbe raccontarli chi ha letto ( e vissuto), i romanzi di Farmer, Dick e Matheson, rimescolando il tutto nei panni del cinema di Carpenter. C’è anche una colonna sonora “riconoscibile”, altro punto a favore del racconto. Adoro il connubio musica/letteratura. Capolavoro.
Fantaresistenza: a fiumi ( di folla!).
“Il paradosso di Glenn Gould” di Giovanni Burgio è la fantasia (utopistica) al potere. Bella l’idea di base e ammirevole la scelta stilistico/musicale. Da leggere.
Fantaresistenza: no!
“Nekropol” di Walter Catalano è l’horror prestato alla fantapolitica. Splendido e perfetto.
Fantaresistenza: nì.
“L’Area 52” di Vittorio Catani è cattivo fino al midollo come un brano sparato a velocità supersonica e dalla chitarre deflagranti. Qualcuno lo chiamerebbe metal futuristico applicato alla letteratura. Io dico solo che pochi hanno il coraggio di osare in questa antologia come lo ha fatto Catani. Onore al merito.
Fantaresistenza: cazzo, sì!
“La figurina di Bulgarelli” di Piero Cavallotti è il quotidiano visto attraverso sensi “diversi” ( ambigui? Forse…). Tutto si cristallizza ( nella forma definita del diario) ma nulla cambia.
Fantascienza: non proprio. Fantaresistenza: proprio no.
“La vita considerata come un’interferenza tra nascita e morte” di Vittorio Curtoni, mi ha ricordato l’ultimo romanzo di Mauro Baldrati, “La città nera”. Una spietata ma ispirata descrizione ( o meglio ancora rielaborazione) di uno dei più grandi mali dell’uomo: il falso liberalismo e l’accentramento del potere con i sotterfugi più meschini e subdoli. Ribellarsi significa solo essere cancellato da un sistema che non desidera altro che la morte dell’ideologia ( e quindi dei corpi). Ottimo esempio.
Fantaresistenza: eh sì.
“Come noi li rimettiamo ai nostri debitori” di Milena Debenedetti, è il "Grande Fratello" di Orwell passato al tritacarne dei tempi moderni audio/televisivi. L’audience è Dio. Tutto il resto è superfluo compresa la vita umana. Lovecraft lo aveva predetto in altri modi. Cthulhu è la Tv.
Fantaresistenza: nì.
“Marte distruggerà la terra” è la politica mondiale secondo Valerio Evangelisti. Putrida, opportunista, cannibale, sgangherata.
Fantaresistenza: sì.
“Il riflesso nero del vinile” di Domenica Gallo è una spy story futuristica, ben scritta e dal grande patos emozionale.
Fantaresistenza: no.
“L’estate perfetta” di Daniele Ganapini è il futuro visto attraverso gli occhi dell’autore. Tecnologia e vuoto esistenziale fusi insieme in una sofferta meditazione.
Fantaresistenza: no.
“Un mondo migliore” di Francesco Grasso è la classica teoria della cospirazione e del cittadino ignaro di fronte a progetti oscuri e apocalittici. Buon racconto.
Fantaresistenza: nì.
“Il potere logora” di Gian Filippo Pizzo si basa su un’intuizione vincente: riuscire a decifrare ( e riconoscere) il lato oscuro del potere politico attraverso un dono (arma) singolare e raro: la telepatia.
Se ci pensiamo bene non è poi così utopistico, così lontano dalla realtà…
Fantaresistenza: sì.
“Una domenica diversa” di Pierfrancesco Prosperi. Kafkiano fino al midollo. Autentica “ambigua utopia”.
Fantaresistenza: sì.
“Storia di un commissario” di Francesco Ricciardello. Lucida e dettagliata descrizione di un universo vicino/lontano al nostro. Tra passato e futuro. Tra visione e cruda realtà. Ottimo racconto.
Fantaresistenza: nì.
“Terra avvelentata” di Umberto Rossi, è il male attuale che diventa pretesto (classico) per raccontarlo. Anche in questo caso uno spietato atto d’accusa contro l’uomo/parassita/distruttore/progressista.
Fantaresistenza: sì.
“Tradimenti” di Danilo Santoni è un’altra autentica “ambigua utopia”. Molto ambigua e tanto attraente nel delineare un’ucronica ( personalissima) visione del passato.
Fantaresistenza: nì.
“Notte di ghiaccio” di Roberto Sturm ( nome d’arte “poetico/celebrativo”?), racconto ermetico e complesso con ambizioni di indagine psicologica. Interessante.
Fantaresistenza: no.
“La sindrome di Casablanca” di Enzo Verrengia è il più atipico, visionario, umoristico e geniale racconto presente nell’antologia. Una mosca bianca, un’utopia diversa e per questo ancor più indecifrabile. Chi osa la vince.
Fantaresistenza: no.
“Il volo della Garbot” di Alessandro Vietti. Come le opere di Dick è una poetica e tragica descrizione di un futuro che seppur visionario e cibernetico ( quindi attraente ma anche prevedibile) nasconde l’insidia più atroce:la morte è una dimensione che anche in un universo artificiale come quello descritto di Vietti, ha sempre la sua ragione di esistere…l'ultima "ambigua utopia" del libro.
Fantaresistenza: nì.

venerdì 13 agosto 2010

GIANLUCA CHIERICI – HANNO AMORE ( PERDISA POP – 2010)

Sinossi
Camminando attraverso il prato percepivo le sensazioni della mia infanzia. Le preghiere di mia madre e la palla che rimbalzava monotona contro le pareti della casa. Mio padre che spaccava la legna nel capanno e i tuoni che facevano tremare il pavimento della mia stanza. Come due ladri arrivammo di fronte alla porta d'ingresso. Una nube, sopra la casa, aveva chiuso la luna fuori alla notte.
IN LIBRERIA DAL 15 SETTEMBRE.

Considerazioni
Preview assoluta qui a IL MONDO DI EDU, visto che il libro sarà disponibile solo a Settembre.
È il primo romanzo che leggo del giovane autore milanese il quale ha all’attivo già svariate uscite.
“Hanno Amore” è un collage di foto e sensazioni, di visioni elegiaco/pagane e di brutture tipicamente terrene, di sangue e redenzione.
Chierici parte da un’idea ben definita: le disavventure di un bambino solitario e sensibile tra genitori/mostri/ presenze impalpabili e un senso di soffocamento derivato dalla sua condizione di anima inquieta e tutto sommato ignara del proprio destino( ci ho visto qualcosa di Dickens nei brani fin qui descritti).
Una forma/pensiero embrionale e confusa che si agita tra il mondo onirico e il desiderio di risvegliarsi da una realtà tutto sommato “alterata”.
Ben presto il bambino diventa uomo ma le visioni, i ricordi, i sogni non si attenuano anzi acuiscono la fragilità e il disadattamento alla realtà del personaggio.
E allora l’unica ragione di vita diviene il sapere, la conoscenza del male supremo, le radici della non esistenza.
Da segnalare che il protagonista si muove su uno sfondo fumoso, grigio e asfissiante tipico della provincia nostrana. Ma c’è sempre una guida ( femminile, adulta, sensuale) che lo accompagna, lo consiglia, lo porta praticamente per mano.
Il tutto come metafora di un’assenza materna che lascia vuoti incolmabili che figure estranee a quella familiare difficilmente riescono a colmare.
“Hanno Amore” è un viaggio nella solitudine dell’essere umano tra desideri materiali irrealizzati e uno slancio ( cieco e doloroso) verso dimensioni spirituali “diverse” e quindi dannate.
“Dove non c’è la luce di Dio c’è l’oscurità”, sembra quasi dire l’autore del romanzo.
Nell’elegia dell’universo pagano ci sono sempre forze oscure, orrorifiche, violente ( del resto Lovecraft ne aveva parlato eoni prima) e Chierici non ha nessuna intenzione di trovare una redenzione spirituale ma di affogare il dolore nel sangue di un rituale innominabile.
Seppur il finale è a tratti consolatorio, rimane il fatto che il romanzo è un inno alla confusione dell’uomo moderno, schiacciato tra subdola contemporaneità e furiosi aneliti verso dionisiache meta realtà.
Accattivante ( ma consiglio una lettura attenta…) lo stile di scrittura che non è né prevedibile né semplice ma adatto ai temi del libro.
Del resto se il romanzo è complesso, il linguaggio lo deve essere altrettanto anche se ho la sensazione che qualcosa poteva essere maggiormente affinato senza nulla togliere al quadro d’insieme.
Un (meta) romanzo attuale e insieme crepuscolare.
Adatto ai primi grigiori dell’autunno.

giovedì 12 agosto 2010

METALLARI VS ZOMBI: UN FILM HORROR DEVOTO AL BLACK METAL

- Il film più divertente Zombie da Shaun Of The Dead "- Rock Express

- Fresco, fresco dalla tomba arriva "Zombie Driftwood", una nuova zombie-comedy che avrà come scopo principale quello di far morire il pubblico dalle risate.

Dopo che una nave da crociera scompare al largo della costa di Grand Cayman, i turisti riappaiono all'improvviso come zombi cannibali, assediando il bar Driftwood con un gruppo di "Metalheads" intrappolati all'interno.
Quindi, preparatevi per la festa zombie del secolo, con sesso, birra e un sacco di sangue!
Zombie Driftwood è un divertente presa per i fondelli dei film di zombi tradizionali.
Siate pronti alla "metal madness"intesa come battaglia dei nostri eroi 'per la sopravvivenza, armati fino ai denti solo con mazze da baseball, cornamuse e alcol.
Avranno bisogno di tutto l'aiuto possibile quando l'Hitler Zombie arriverà all'attacco.
È tornato e questa volta, è più cattivo che mai...
Vincitore di un Emmy Award il regista Bob Carruthers, imbastisce un lungo metraggio di 75 minuti. Un film "di rottura" sul mondo degli zombi: "Quello che mi piaceva era l'idea della nave da crociera che scompare nel Triangolo delle Bermuda e compare nel Nord senza passeggeri. Ci sono molte opportunità per la satira, come zombie in camicie hawaiane e pantaloncini ", afferma Carruthers. "Si segue comunque alcune regole del genere. I protagonsiti del film rimangono intrappolati e assediati in un bar. Ma anche se il film parla di zombi e le persone potranno essere morse e uccise, promette anche un sacco di gag molto comiche."
Il film presenta anche una colonna sonora più pesante di un container carico di elefanti sovrappeso, con musiche di EMPEROR, IHSHAN, OCTOBER FILE, ALTAR OF PLAGUES, WINTERFYLLETH, ABIGAIL WILLIAMS, ANAAL NATHRAKH, ABSU, OBSIDIAN, DIVINITY, WOODENSTHRONE, BLOOD OF KINGU, ALTAR OF PLAGUES and molti altri.
La colonna sonora verrà realizzata dalla label inglese Candlelight records.
Per ordinare il film basta andare a questo link:


giovedì 5 agosto 2010

SPECIALE MY KINGDOM MUSIC

Kenos – X-Torsion ( My Kingdom Music – 2010)

I Kenos mi hanno sempre affascinato con la loro sapiente miscela di extreme metal con abbondanti porzioni di progressive e follia compositiva.
Dopo il pesantissimo e marcissimo “The Craving” del 2007 ( recuperato a tempo di record in originale dopo l’ascolto di “X- Torsion”) a mio parere la band si è trovata a un bivio: accentuare le parti death trasformandosi in un panzer schiacciasassi in stile Nile o Behemoth, oppure puntare su inediti suoni progressivi. “X- Torsion” vira pesantemente verso la seconda direzione, conservando nello stesso tempo un sound aggressivo e riconoscibile.
“Room Sexteen” è la summa di quanto detto in precedenza: la struttura death metal del brano si arricchisce di invenzioni gotiche e melodiche che in un certo senso attenuano le sfuriate extreme, segno distintivo dei nostri sin dagli esordi...
Parlavamo di progressive rock. Ecco “2010 Omega Assimilation”, ancora tra melodia e violenza. Alcune invenzioni di Dimmu Borgir, Borkanagar, Arcturus vengono ridecodificate attraverso la sensibilità unica dei Kenos. Ed è un turbinio di suoni e colori differenti.
“Uncounter” potrebbe essere un outtake di “The Craving”, con maggiore perizia tecnica.
“Trember” è una ballata, me sempre in stile Kenos. Una nenia malata e allo stesso tempo malinconica.
“X- Torsion” è il capolavoro del disco. L’anima di Chuck Schuldiner è in questo brano. Se i Death esistessero ancora, di sicuro li porterebbero in tour con loro. Un tornado di riff, cambi di tempo, rallentamenti e fulminee accelerazioni. Un must!
E poi c’è il thrash antimico di “Bitchswitch”, le atmosfere sognanti di “Erocktika” ( ci sento i Rush in questo brano..) e il modernismo quasi Nu Metal di “Revoler Revivial”, ma sempre passato al tritacarne del tipico sound Kenos.
Si chiude in bellezza con l’aggressione senza sosta di “Addictionxtinction” ( forse la song più veloce mai scritta dalla band).
Inutile tergiversare: “X-Torsion” è uno dei dischi del 2010 non solo per My Kingdom Music ma per tutta la scena italiana. Album della maturazione per il combo meneghino che apre interessanti prospettive per il futuro. E noi saremo qui ad attenderli…




Defect Designer - Wax ( My Kingdom Music - 2009)

Colpo grosso in casa My Kingdom Music.
I Defect Designer, band proveniente dalla gelida Siberia pubblica uno degli album/sorpresa di tutto il 2009: “Wax”.
Per chi ( come il sottoscritto), durante i primi anni 90 ha vissuto( e amato) la gloriosa scena Death/Progressive europea con band seminali quali Edge of Sanity, Phlebotomized, primi Opeth, S.U.P., Ethereal Winds, Septic Flesh etc, non potrà assolutamente perdersi questa uscita.
Il brano di apertura “Composing the dead” è ispirato fortemente dal progressive rock e può essere considerato come un intro alla furia cieca e iconoclasta di “Stillborn”, ibrido Hypocrisy ("The Fourth Dimension" era), Mudvayne ( il debut album "L.D. 50) con sfuriate grind da spezzare il collo.
“You are non more” prende i migliori Edge of Sanity fondendoli con la devastazione sonora dei mostri mascherati dell’Iowa. La tensione del pezzo viene alleggerita da alcune trovate melodiche e solistiche che dire ispirate è dire poco. Già solo l’accoppiata iniziale varrebbe l’acquisto del cd.Ma i Defect Designer ci mostrano che il Death Metal, attraverso il loro contributo, avrà ancora vita lunga: “Defamation” è la brutalità tipicamente americana con la melodia dello Swedish Death di metà anni 90. Non basta. Di nuovo influenze Progressive/Rock con “Heads” con il suo incedere Doom atmosferico che non disdegna le solite impennate furiose tipiche del quintetto siberiano.
Insomma dieci a lode a Francesco Palumbo della My Kingodom per aver scovato nelle fredde lande della steppa siberiana, una band che nel tempo potrebbe diventare uno dei punti fermi di tutta la scena estrema mondiale. Io me lo auguro sul serio.





Symbolyc - Engraved Flesh ( My Kingdom Music - 2009)
I Symbolyc, new-comers della scena Death Metal del Bel Paese, sembrano avere le idee chiare, fin dal loro debut album, questo “Engraved Flesh”, uscito sempre per la lungimirante My Kingdom Music.
Niente sperimentazioni invasive, niente progressioni o tentazioni metal-core.
Il quintetto campano guarda alla tradizione del genere estremo e ne trae fuori una vera e propria lezione di cattiveria e perseveranza.
Si parte col mid- tempo spacca sassi di “Dead Inside” che ha una valenza tutta europea nel distribuire atmosfera e violenza.
Menzione di merito per il break solista degno del compianto Chuck Schuldiner.
“Within the Realms of human Awareness” ha un incipit che farà commuovere gli amanti del Grind Core Inglese ( Carcass, Extreme Noise Terror).
Ma è solo l’inizio.
Il sound si rallenta, creando sensazioni di soffocamento e claustrofobia, una prerogativa del (cupo) messaggio sonoro dei Symbolyc.
Un’alternanza di pieni e di vuoti che è uno dei marchi distintivi dell’album
“Wingless” è il vero capolavoro del disco.
Epica, dal ritmo sostenuto, sfiora il Thrash in alcune trovate chitarristiche di indubbio valore. Sembra di ascoltare i Morbid Angel di “Covenant” affogati nella putrescente fanghiglia dei Dissection più autodistruttivi.
Black Metal che ritroviamo in forma più estremizzata e putrida ( stile Behemoth, Vader etc) in “Suffering”, altro brano che convince con il suo andamento ora ipnotico ora violento.
“Denied” è ancora tradizione e violenza. Particolarmente espressive le vocals di Diego Laino.
C’è anche spazio per un intermezzo folk sullo stile In Flames ( periodo “Lunar Strain” – 1994) che alleggerisce di molto la pesantezza del brano.
L’album perde un po’ di mordente con le due tracce seguenti ("Livin’in a cold Lie" e "Oncoming Apocalypse") troppo derivative di certo Thrash Americano ( Testament in primis ma anche Pantera).
La title track è una divagazione pianistica invero ombrosa e malinconica che fa da preludio a ”The Parasite’s curse”, altra mazzata Death/Thrash che ha dalla sua una maggiore convinzione in tema di songwriting e una struttura più articolata e accattivante.
I Symbolyc esordiscono con un ottimo disco, ben prodotto e con delle trovate al di sopra della media delle uscite underground.
Sono molto curioso di vedere dove li porterà l’evoluzione del loro sound in futuro.
Intanto “Engraved Flesh” è qui per restare.
Liks:

martedì 3 agosto 2010

NUOVA PUBBLICAZIONE PER LO STORICO SARNESE ORAZIO FERRARA


Dal “Pellegrinaggio in Terra Santa”, note di Orazio Ferrara

“Le note che seguono sono la trascrizione del diario tenuto, dal 4 giugno all'8 giugno di quest'anno 2010, durante un viaggio o meglio un pellegrinaggio in Terra Santa. Sono brevi appunti, osservazioni, annotazioni scritte di getto, senza abbellimenti, la notte nella stanza d'albergo, quando la stanchezza della giornata iniziata di norma alle 06.30 si faceva maggiormente sentire. E anche le emozioni, forti e intense, si facevano sentire. Successivamente sono state intercalate, per una migliore illustrazione dei luoghi visitati, brevi notizie storiche e gli opportuni passi del Vangelo, quest'ultimi a cura di padre Enrico Agovino.
Confesso, io non ho una fede granitica, a differenza di altri che qualche volta invidio. Sono dubbioso, pieno di domande. Forse perché bisognerebbe avvicinarsi alla fede con la semplicità del cuore e non con l'arroganza del cervello. Avevo letto da più parti che dopo un viaggio in Terra Santa niente potrà essere più come prima. Di ciò ero molto scettico, devo convenire che mi sono sbagliato. Dalla Terra Santa sono tornato con una certezza: l'ateo ha torto marcio e il Mistero del Divino non può essere una costruzione mentale per gente di bocca buona, te ne rendi conto da come lo cantano e l'esaltano in quella Terra unica le tre grandi religioni monoteiste: la Cristiana, l'Ebraica e la Musulmana.
Fin dalle prime visite ai Luoghi Santi, mi è tornata alla mente la frase dello studioso e scrittore Mario Labio, anch'esso pellegrino in Terra Santa. La trascrivo: “Se siamo giunti fin qui, proprio noi e non altri, è perché il Signore ha qualcosa da comunicarci; e come il piccolo Samuele, c’è da ripetersi: parla, Signore, il tuo servo ti ascolta”. Tra le lacrime sincere delle donne del nostro gruppo, che non poche volte ho visto sgorgare copiose nei posti dove Lui era passato, e le altrettanto sincere preghiere quotidiane di padre Enrico, ho cercato spasmodicamente di ascoltare il Divino. In parte le note che seguono raccontano e testimoniano di questa cerca e, comunque, della segreta speranza che alberga nel cuore di ognuno di noi, fosse anche il più incallito dei miscredenti”.

lunedì 2 agosto 2010

NUOVE USCITE ESTIVE PER GARGOYLE BOOKS

Due letture imperdibili per l'ESTATE GARGOYLE 2010:

il nuovo folgorante romanzo dell'autore de
Le Memorie di Jack lo Squartatore

I VAMPIRI DI CIUDAD JUAREZ
di CLANASH FARJEON

Traduzione di Chiara Vatteroni

Trama.
Primavera 1997, Michael Davenport, bizzarro videoreporter inglese alla perenne caccia di scoop, riesce a farsi spedire negli USA da "Enigma", rivista per cui lavora altrettanto bizzarra, con l'impegno di rientrare con almeno un paio di reportage strepitosi.
Dopo il volo Londra-Miami, il giornalista raggiunge in pullman El Paso, lì un altro autobus lo porterà a Los Angeles dove è previsto il suo soggiorno presso una coppia di amici. Nella bordertown texana, Michael filma lo spettacolare paesaggio desertico di confine, imbattendosi in una maestosa tigre siberiana, la cui bellezza lo ipnotizza al punto da inseguirla d'impulso oltrepassando la frontiera e ritrovandosi a Ciudad Juarez. Nella piazza principale della città messicana, Michael riprende il formidabile felino mentre scompare in una limousine bianca fermatasi appositamente a prelevarlo. Nel filmato prodotto il giornalista intravede la sagoma di un uomo elegante all'interno della vettura; quello che gli appare come un innocuo dettaglio si rivela, invece, un boomerang dal momento che di li a poco Michael viene assalito e derubato della videocamera e del passaporto. Mandante dell'aggressione è proprio il proprietario di El Tigre: Amado Portillo Perez, capo del cartello della droga di Ciudad Juarez. Amado è impegnato in una trattativa con dei narcotrafficanti russi. Per riavere la refurtiva, Michael deve fare la sua parte nel delicato negoziato, scoprendo così un mondo di perdizione e violenza inimmaginabili, all'insegna di rituali aberranti e di insospettabili connivenze, dove niente è come sembra.
Per leggere il primo capitolo:
http://www.gargoylebooks.it/site/content/arrivano-i-vampiri-di-ciudad-juarez-0

Tracce.
The Vampires of Ciudad Juarez è il primo episodio di una trilogia che comprende The vampires of 9/11 e The Vampires of the Holy Spirit, i primi due titoli sono già stati pubblicati in Canada e Stati Uniti, mentre l'ultimo è in fase di stesura. Nel 2011 è prevista la traduzione italiana del secondo capitolo per i tipi Gargoyle.
Come per Le Memorie di Jack Lo Squartatore (2008), Farjeon ricorre a un micidiale mix di ferocia e perversione per raccontare di una società degradata; se però il primo romanzo era ambientato in epoca vittoriana, il secondo si svolge alle soglie del terzo millennio nella messicana Ciudad Juarez, al confine con gli Stati Uniti, la più pericolosa città del mondo secondo recenti statistiche, che diventa lo scenario paradigmatico di un incubo narrativo postmoderno.
Zona-corridoio dove transita ogni tipo di sostanza stupefacente - un macrobusiness stimato in 25 miliardi di dollari - nonché sfondo di febbrile via vai di migliaia e migliaia indocumentados, che varcano la frontiera illegalmente per essere spesso ricacciati indietro o sfruttati impietosamente negli USA, da decenni - specie dopo gli accordi NAFTA del 1994 che hanno esteso il libero commercio oltre che agli USA e al Canada anche al Messico con esiti assai controversi - la tentacolare Ciudad Juarez è una metropoli che collassa nella violenza e in uno stato sempre più avanzato di disintegrazione sociale. Una devastazione a tal punto massiccia da interessare l'intera popolazione: mentre la classe dirigente (politici, magistrati, finanzieri), le alte cariche amministrative e le forze dell'ordine risultano sempre più corrotte e colluse con attività criminali, i ceti meno abbienti ingrossano le fila della manovalanza armata al servizio del cartello della droga di Juarez in una guerra, senza esclusioni di colpi e di cruente ritorsioni, contro gli altri cartelli messicani (quasi 23.000 morti negli ultimi tre anni) per il controllo del narcotraffico nel Paese. Dal 1993, inoltre, a Ciudad Juarez è in atto un vero e proprio femminicidio di donne povere, in prevalenza giovanissime operaie delle numerose maquiladoras (fabbriche d'assemblaggio di componenti per l'elettronica destinato al mercato straniero) gestite da multinazionali. Quando non orribilmente trucidate (dopo essere state ripetutamente stuprate, seviziate e sfigurate), queste giovani scompaiono nel nulla e, fatta eccezione per lo strazio delle famiglie, nella acquiescenza generale. Dati ufficiali indicano in oltre 400 le ragazze uccise e in circa 600 le desaparecidas, ma è assai probabile che la stima reale sia, invece, di diverse migliaia di donne.
Omertà istituzionale e complicità della polizia bloccano sistematicamente il procedere delle indagini e, malgrado la continua campagna di sensibilizzazione di organizzazioni umanitarie come Amnesty International, quest'implacabile mattanza seguita a non essere sufficientemente intercettata dalla maggior parte dei grandi media.
È sintomatico che a supplire il ruolo informativo siano il giornalismo d'inchiesta che ha sempre meno spazio (spiccano i lavori di Charles Bowden e del fotografo Jualian Cardona - fonti d'ispirazione per Clanash Farjeon -, di Sergio González Rodríguez, di Victor Ronquillo, e di Marc Fernandez e Jean-Christophe Rampal), il cinema (Bordertown, film di Gregory Nava del 2007 fortemente voluto da Jennifer Lopez che lo ha anche interpretato) e la letteratura.
Non era facile scrivere narrativamente di femminicidio e narcoterrorismo, ma Farjeon ci riesce in pieno imbastendo un'originale trama horror dove suspence e denuncia si intersecano agevolmente e dove l'elemento vampirico è chiaramente utilizzato per descrivere ancora più incisivamente tutto il torbido e le brutture che stanno attorno all'esercizio di un potere illimitato e disumanizzante, nella fattispecie quello degli esponenti di una famiglia di signori della droga, che le fattezze vampiriche rendono ancora più inquietanti.
A fare da contraltare a tutto ciò un umorismo caustico, suscitato in specie dalla figura dello strampalato protagonista, dunque l'orrore più cupo e raggelante di certe situazioni volge sovente al grottesco, come a dire che, contrariamente alla realtà, almeno nella fiction c'è, attraverso la vis comica, la vitalistica possibilità di creare un limite al male.

L'autore.
Clanash Farjeon è l'anagramma dell'attore britannico Alan John Scarfe. Nato nel 1946, si trasferisce ancora bambino in Canada. Formatosi all'Università britannica della Columbia e all'Accademia di Arte Drammatica di Londra, è conosciuto soprattutto come fine interprete del teatro classico - Marlowe (Faust) Shakespeare (Bruto, Amleto, Otello, Iago, Re Lear, Prospero Faust), Cechov (lo zio Vanja), Strindberg, Pirandello, Brecht, Beckett, Williams, Osborne, Pinter - ma è anche autore di diverse regie teatrali. Ha recitato in più di 40 film e in innumerevoli serie TV, tra cui Star Trek: Voyager e Star Trek: The Next Generation, in quest'ultima accanto alla moglie Barbara Macza, in arte March, attrice di origini polacche, anch'essa di formazione teatrale. La coppia ha due figli, Jonathan, attore, e Tosia, cantante d'opera con la passione per il rock.
Nel 2003, Scarfe ha pubblicato il suo primo romanzo, A Handbook For Attendants On The Insane, che Gargoyle ha proposto nel 2008 con il titolo Le memorie di Jack Lo Squartatore, incontrando un ottimo successo di lettori e di critica.

Da I vampiri di Ciudad Juarez:
Era incredibile. C'erano centinaia d'immagini di donne, sia primi piani sia figure intere. Non robaccia porno da quattro soldi. Raffiguravano normalissime ragazze messicane ben vestite, in un'ampia varietà di pose, con espressioni che andavano dalla dolce modestia alla ribellione rabbiosa. Visi di ragazze che lavorano sodo, puliti, innocenti, accompagnati ognuno da un'immagine dal tenore completamente diverso. macabro. [.] Esiste qualcuno su questo pianeta che ossa approvare simili crudeltà gratuite? Esseri umani impalati? Crocefiisi?

Clanash Farjeon su I vampiri di Ciudad Juarez:
L'ho scritto dopo aver letto Blood Orchid di Charles Bowden, con le foto di Jualian Cardona. La realtà dell'orribile femminicidio messicano, che si protrae da quasi 20 anni con modalità raccapriccianti, mi ha sconvolto, così come mi ha sconvolto e sconvolge l'assenza di una strategia seria per risolvere questo stato criminoso di cose da parte delle autorità preposte.
Anche questo romanzo, come il precedente, può considerarsi è un atto d'accusa contro l'abuso di potere ovunque esso venga esercitato; d'altronde è la stessa storia dell'umanità che si presta a essere letta come un'ininterrotta epopea tragica. La crudeltà di certe situazioni descritte non è, purtroppo, una mia invenzione.

Hanno detto:
Il libro assume le movenze di una sorta di horror sociale[.]. Una storia con tutti i crismi per gli appassionati del genere, dunque, ma anche con qualcosa di diverso, e in più.
Massimiliano Panarari - La REpubblica

Il romanzo di Clanash Farjeon ricorre alla cupa realtà dei fatti di cronaca per dar corpo ad una fiction influenzata da una tecnica narrativa cinematografica (con azioni decentrate e frequenti cambi di personaggi e vertici di osservazione) [ .] lo stile ironico e leggero della prosa, a tratti, si distende in un tono quasi da commedia horror, fortemente evocativa di alcuni personaggi del cult The Rocky Horror Picture Show.
Maurizio Crispi - Sicilia Informazioni

Al diavolo il "vedo-non-vedo", al diavolo la forma e il canone, questo libro è un cazzotto nello stomaco a tutta la "bella" narrativa. L'autore, Alan John Scarfe (alias Clanash Farjeon) mette su un capolavoro a metà strada fra Scarface e un B-movie degli anni Ottanta, con un risultato che lascia senza fiato.
Valerio Bonante - Ca' delle Ombre

Scarfe scrive in modo gradevolissimo, ricco di humor e pacato al tempo stesso [.] La narrazione scorre veloce e piacevole e le arguzie verbali del protagonista rendono la lettura piuttosto divertente, anche se mai nettamente umoristica.
Susanna Raule - Cu-Up

Farjeon/Scarfe, anche se con una vena di sar­ca­smo, fa una denun­cia al sistema capi­ta­li­stico, e a tutti coloro che deten­gono un potere illi­mi­tato, che li depriva di qual­siasi senso umano ed etico. Difatti i suoi vam­piri non hanno nulla a che fare con gli ste­reo­tipi let­te­rari clas­sici o cine­ma­to­gra­fici. Non sono roman­tici e dia­fani, né tanto meno tene­brosi o pro­ble­ma­tici. Sono spie­tati, arro­ganti vol­gari e pre­va­ri­ca­tori.
Vito Tripi - Wordshelter

L'orrore che ci propone Farjeon non ha nulla di soprannaturale, è un resoconto di brutalità che accadono ogni giorno nei Paesi dove la gente non può nulla contro la corruzione e la violenza della classe dominante.
Daniela Bolognini - Il Catafalco

Dati tecnici del volume:
Collana: "Nuovi Incubi"
Pagg.: 294, brossura
Prezzo: 14,00 euro
ISBN: 978-88-89541-43-2



VARNEY IL VAMPIRO - L'Inafferrabile
di Thomas Preskett Prest - James Malcolm Rymer
il caposaldo della letteratura vampirica finalmente in edizione italiana

Il secondo volume della trilogia di Varney

Traduzione di Chiara Vatteroni
Introduzione di Fabio Giovannini

Il libro.
ll secondo volume, dal sottotitolo "L'inafferrabile", è costituito dai capitoli 66 a 126 (con un salto dal cap. 123 al 126 che, secondo la scelta editoriale di attenersi il più possibile alla struttura originaria, è stato mantenuto) si apre con l'introduzione "Varney il contaminatore" di Fabio Giovannini - tra i massimi esperti di cultura vampiresca, nonché curatore, nel 1993, di una miniedizione di Varney, comprendente 4 dei 237 capitoli dell'opera - il quale, in linea con le sue ricerche, si sofferma soprattutto su come il vampiro letterario Varney abbia impattato con le altre forme artistiche e della comunicazione.
Nel secondo libro vengono approfonditi i legami tra la famiglia Bannerworth e Sir Francis Varney, da tutti ritenuto un vampiro, la cui figura è sempre più caratterizzata da inafferrabilità e predisposizione a mutare costantemente identità.
Sviluppo della trama e stile letterario si raffinano, in parallelo ad un maggiore consolidamento della factory degli autori. Factory che - ricordiamo - è assai probabile che non fosse formata soltanto da James Malcolm Rymer e Thomas Preskett Prest, ma da un gruppo di poligrafi più numeroso che lavorava a soggetto, in prevalenza sulla base di un canovaccio in continua modifica (ampliamenti, rallentamenti e impennate del ritmo narrativo, provocazioni verbali, colpi di scena), aderendo allo spirito del feuilleton, e andando incontro alle aspettative e ai gusti di un pubblico di massa.
Costante se non maggiormente scoperto è l'intento paternalistico-didascalico di chi scrive per chi legge (un popolo oltre che da alfabetizzare, anche da acculturare secondo una preciso conformità valoriale), assieme all'afflato di giustizia (personificato soprattutto dall'ammiraglio e dalla giovane Flora).

La trama.
Liberato da Varney, Charles Holland torna dalla fidanzata Flora Bannerworth e dallo zio ammiraglio Bell, dopo aver rinchiuso nella prigione sotterranea, dove era stato egli stesso tenuto, il villain Marchdale, destinato a perire miseramente sotto il crollo delle pareti della cella.
Bannerworth Hall, ormai deserta dopo la fuga dei legittimi proprietari in un cottage non lontano, viene visitata da personaggi misteriosi, tutti in qualche modo legati a Sir Francis Varney. Quando il dottor Chillingworth tenta di portare via il grande ritratto, somigliante allo stesso Varney, collocato nella camera da letto di Flora, viene aggredito e rapinato. Il medico chirurgo rivelerà, inoltre, di avere già conosciuto il vampiro a Londra: alla ricerca, con l'ausilio di un boia, di cadaveri su cui compiere esperimenti, aveva avuto l'impressione di resuscitare un criminale appena impiccato, lo stesso vampiro.
La testimonianza è confermata dall'arrivo in scena del boia, che ricatta Varney, e dal racconto fatto da quest'ultimo a Charles Holland, che è riuscito a rintracciarlo: assieme a Marmaduke Bannerworth, il pater familias morto suicida, egli aveva partecipato a un'azione criminosa per recuperare un'ingente somma di denaro persa al gioco, edera stato catturato e condannato a morte.
A Bannerworth Hall è nascosto probabilmente il denaro rubato, mai recuperato. Nuovamente inseguito dalla folla, Varney si rifugia nel cottage dei Bannerworth, stabilendo con essi un raporto di reciproco rispetto, ma poi scompare di nuovo, mentre Charles e Flora possono finalmente sposarsi. Intanto, ad Anderbury, una cittadina di mare a circa venti miglia da Bannerworth Hall, fa la sua comparsa un misterioso e ricchissimo nobiluomo, il barone Stolmuyer di Salisburgo, che si appresta alle nozze con una bellezza del luogo, Helen, figlia dell'avida vedova Williams...

Da Varney - L'inafferrabile:
Il vampiro accennò un gesto ostile, come se volesse aggredire Charles Holland; subito dopo, però, crollò quasi a terra, come sconvolto da un ricordo che gli fiaccava il braccio; tremava per un'inconsueta emozione e, dall'aspetto spaventosamente livido del viso, Charles temette un grave collasso [...]
«Varney», esclamò, «Varney, calmatevi! Sarete ascoltato da una persona che non trarrà conclusioni avventate né inclementi; che, con quella carità che è purtroppo rara, darà alle parole che pronuncerete l'interpretazione più favorevole [.]».
«È strano», rispose il vampiro. «Non avevo mai pensato di poter essere commosso da qualcosa di umano. Giovanotto, avete toccato le corde della memoria: vibrano in tutto il cuore, producendo accenti e suoni che risalgono ad anni da lungo tempo trascorsi.»

Dall'introduzione "Varney il contaminatore":
Ormai siamo così tanto abituati all'immagine del vampiro veicolata in particolare dal cinema e dalla televisione da ritenere che le sue caratteristiche siano senza tempo. Invece le origini di quell'immagine sono agevolmente identificabili e rintracciabili. È stata la letteratura del XIX secolo ad assumersi il compito di costruire e inventare il vampiro. Thomas P. Prest e James M. Rymer, i più probabili autori di Varney the Vampire (pubblicato anonimo), hanno il merito di aver cristallizzato sulla pagina scritta, tra il 1845 e il 1847, alcuni dei capisaldi dell'immaginario vampiresco. Varney, infatti, è un catalogo anticipatore di descrizioni e ritratti del vampiro destinati a lunga fortuna e ad approdare ai nostri giorni quasi intatti.
Per leggere l'introduzione:
http://www.gargoylebooks.it/site/content/varney-il-vampiro-arriva-il-volume-2-linafferrabile Hanno detto:


Questo lungo romanzo diventa un discorso non solo sulla "natura" del vampiro, ma sull'identità stessa dell'Inghilterra, ancora colma delle reminiscenze della lotta contro l'arci-nemico Napoleone, divisa tra la nostalgia del paesaggio campestre e la fascinazione di quello urbano, impegnata nei processi di conquista coloniale a cui, sempre di più, con l'avanzare del secolo, i ceti più umili della piccola borghesia e del proletariato sarebbero stati chiamati a dare il loro contributo di sacrifici e di speranze.
Carlo Pagetti

[...] dalla letteratura al cinema, tra proposte usa e getta che ammiccano ai nonpensanti e operazioni seriose che rivendicano invece lo statuto di genere, le offerte non mancano. Tant'è che anche la prima traduzione in italiano di un classico della letteratura vampirica come Varney, può sembrare rischioso. Se non fosse che a mano a mano che si seguono e inseguono le vicende di questo non-morto [.]. E gli stereotipi senz'anima che sembravano dominare i primi capitoli, lasciano il posto a una duttilità psicologica degna di un personaggio da dramma borghese. Questa la novità di un'opera scritta in forma seriale tra il 1845 e il 1847 nell'Inghilterra vittoriana, tra i colpi e i contraccolpi della rivoluzione industriale e le mutate esigenze di un mercato editoriale più ampio e "alfabetizzato". Questo il senso della sua pubblicazione, ora, in un'Italia omologata e accidiosa.
Alessandra Bernocco - Europa

Il romanzo prosegue trionfalmente, tra digressioni, nuove vittime, nuovi scenari [...] per la delizia dell'affascinato lettore.
Paolo Bertinetti - "Tutto Libri" de La Stampa

Un archetipo e capolavoro, che si mangia la maggior parte dei romanzi di vampiri antichi e moderni, e che finalmente, dopo un secolo e mezzo, approda in Italia.
Claudio Asciuti - Pulp

Opera dall'intreccio complesso e ricco di digressioni, che ritrae alla perfezione il prototipo del raffinato e machiavellico mostro fornito di un'elegante favella e di affilati canini, un libro che sfodera tutti i topoi del genere gotico, ma che non disdegna la contaminazione con ogni genere letterario. Polpa horror speziata con aromi decadenti innanzitutto, ma melodramma, avventura, pamphlet sociale, un impianto teatrale e persino un pizzico di humour nero convergono in queste pagine, che rappresentano una vera fucina di sperimentazioni narrative, humus embrionale delle potenzialità insite nell'allora nascente formula romanzesca. In questa mescolanza suggestiva di approcci e umori risultano persino coerenti le discrepanze stilistiche ravvisabili tra gli innumerevoli capitoli, riconducibili ai diversi scrittori che, proprio come succedeva per gli artisti e artigiani di una bottega pre-industriale, si alternavano nella compilazione delle peripezie di Varney: la sensazione finale, a voler usare una similitudine cinematografica, è quella di una pellicola diretta e fotografata magistralmente da Mario Bava e scossa dai lampi lisergici e isterici di Jesus Franco. In poche parole, qualcosa di unico ed eccezionale.
Andrea Grieco - Alphabetcity

Con pochi tratti l'attenzione del lettore è tutta lì, schiavizzata dal gesto veloce, dalla prosa gridata e da personaggi che sfiorano la bidimensionalità di caratteri da teatro minore. Poi, pian piano, l'attenzione si sposta oltre e il racconto comincia a prendere corpo. Con esso prende corpo anche una dimensione "scettica" [.] gli autori ritengono l'esistenza dei vampiri una mera superstizione[...] la vocazione razionalista riconduce ogni elemento sovrannaturale nei limiti del conosciuto e dell'esperibile.
Alessandro Izzi - Close-Up

Tutta la letteratura gotica e horror successiva deve molto a Varney il vampiro, e la possibilità di tornare a leggere le sue oscure avventure e rocambolesche vicende oltre a essere uno stimolo da un punto di vista storico-letterario, è principalmente, e senza dubbio, un vero piacere per la mente e la fantasia. una delle più interessanti pubblicazioni di genere che si vedono nel nostro Paese da diversi anni a questa parte. Da non perdere!
Igor De Amicis - Thriller Magazine

Una scanzonata, autoironica opera di fondazione dell'iconografia vampirica, il cui protagonista beffardo, cinico e malinconicamente blasé è l'antidoto anti-Twilight.
Selene Pascarella - Carta

Punto di forza di Varney il vampiro è la capacità di offrire [.] intrigo, azione, soprannaturale, mistero, colpi di scena e avventura, con toni ora drammatici o tragici, ora sentimentali o addirittura grotteschi. Non stupisce che questo anomalo feuilleton abbia appassionato i lettori più disparati, proponendosi come un appuntamento periodico irrinunciabile sia per intellettuali che per "popolani" [...]. La prosa elegante e avvincente degli autori ci conduce all'interno della leggenda vampirica e ci regala un protagonista (ma eccellenti sono anche i tanti comprimari, dai fratelli di Flora Henry e George, al promesso sposo Charles Holland, dallo scettico chirurgo Chillingworth, alla bizzarra coppia formata dall'ammiraglio Bell e dal marinaio dalla bottiglia facile Jack Pringle) che siamo felici di conoscere.
Giovanni Scalambra - Stradanove

Ciò che davvero colpisce è la sfilza di personaggi che animano la narrazione riuscendo a portarvi elementi continui di novità, spunti di riflessione e testimonianze del contesto sociale in epoca ottocentesca.
Movida - Lankelot

Varney apparve a Londra nel 1845 e per ben due anni le cameriere, i commessi, gli operai si abbeverarono alle sue avventure [...] Per the mob, cioè la plebe urbana dell'Inghilterra vittoriana, quel signore allampanato e malinconico, più decadente che romantico, svolgeva la stessa funzione che svolgono ai nostri giorni, presso torme di ragazzini, i romanzetti di Stephenie Meyer: instillare il piacere della letteratura, nella speranza che, una volta «svezzato», il pupo possa essere invogliato a... erudirsi da solo, passando, per esempio, a Flaubert o Dostoevskij.
Daniele Abbiati - Il Giornale

L'importanza del personaggio è stata molto profonda nel tracciare le coordinate del "vampiro moderno", sai a livello fisico che psicologico. Basti pensare che, nell'universo Marvel, il primo vampiro si chiama Varane. Impedibile per tutti gli appassionati di letteratura gotica.
Daniele Bonfanti - Hera

[...] buon romanzo di suspense, ricco di colpi di scena, ambientato in un'Inghilterra in trasformazione, in cui si ravvisa il declino dell'aristocrazia, vittima dell'avanzare della classe borghese ma anche dei suoi stessi vizi. Per la verità, non ne esce molto meglio il "popolino", rappresentato dalla folla inferocita con tanto di torce e forconi, priva di qualsiasi raziocinio, la quale non esita a profanare tombe, impalare cadaveri e appiccare incendi: un'indistinta marmaglia che finisce per fare più paura del terribile vampiro.
Antonio Daniele - Il Catafalco

Dati tecnici II volume:
Pagg. 513, brossura
Prezzo: 16,00 euro
ISBN: 978-88-89541-46-3